Università “G. D’Annunzio” di Chieti – Dipartimento di scienze filosofiche, pedagogiche ed economico-quantitative (martedì 11 aprile 2017)
Si parla in generale di devianza quando si fa riferimento a comportamenti mediante i quali individui o gruppi vìolano le norme di una società. Il comportamento deviante comprende il comportamento criminale, ma se ne differenzia per la diversità delle regole violate. Il primo è una violazione di norme sociali e morali, il secondo di norme giuridiche. Il primo riceve perciò le sanzioni conseguenti alla violazione di norme sociali, come la riprovazione. Il secondo riceve le sanzioni conseguenti alla violazione di norme giuridiche, come per esempio la detenzione.
Il comportamento deviante è espressione di un disagio, cioè di una condizione di malessere dovuta a diverse condizioni, per esempio alla difficoltà di adattarsi a un ambiente, oppure alla difficoltà di evaderne, o ancora all’impossibilità di realizzare se stessi, le proprie speranze, le proprie capacità. Può avere cause di natura sociale oppure motivazioni di ordine psicologico.
Mi sono confrontato con il tema del disagio giovanile analizzandone alcune manifestazioni e restituendole in due rappresentazioni letterarie di giovani devianti, un romanzo “Cinematerico” e un racconto “Male minore”, in cui ho posto in relazione il disagio giovanile, che può esprimersi nella devianza, con l’attuale contesto storico.
È indubbio che stiamo vivendo un’epoca nuova, caratterizzata da importanti cambiamenti tecnologici ed economici rispetto all’epoca precedente.
I principali aspetti di questo nuovo contesto storico possono essere principalmente tre.
1.) Innanzitutto l’economia globalizzata e il mutamento della struttura occupazionale delle società postindustriali. Chi si affaccia oggi al mondo del lavoro spesso percepisce incertezza, precarietà, sensazione di prospettive precluse, una sensazione di disorientamento che spinge talvolta a cercare certezze in manifestazioni estreme, come forma compensativa di affermazione sociale.
2.) In secondo luogo i mutamenti nella tecnologia di comunicazione, che hanno condotto alla sovrabbondanza e obsolescenza della conoscenza e dei modelli. Difatti, la velocità dell’esposizione sociale delle informazioni dovuta alla tecnologia determina il loro continuo conflitto, e quindi una frequente erosione della certezza. Come ha osservato il sociologo Anthony Giddens (Il mondo che cambia, 2000), soprattutto nei Paesi occidentali questo avviene anche con le tradizioni e con i riti sociali prima riconosciuti e praticati all’interno delle culture, che comunque davano una misura all’esistenza dell’individuo, non lasciandolo solo nelle scelte che egli doveva prendere all’interno della sua vita, specialmente riguardanti l’identità, la famiglia, la sessualità, la procreazione, il modo di trattare le differenze di genere e di cultura. Le tradizioni sopravvivono, ma il conflitto con altre tradizioni conosciute dagli individui attraverso i mezzi di comunicazione e attraverso la quotidianità nelle società multietniche le svuota di autorevolezza, rendendole personali, esteriori e meno vincolanti.
In questo, forse, è venuta meno l’intuizione di Marshall McLuhan, che coniando nel 1964 l’espressione “villaggio globale” (“Gli strumenti del comunicare” – originale: “Understanding Media: The Extensions of Man” ) pensava che i media avrebbero esteso su scala planetaria l’appartenenza comunitaria che le persone sentivano nel locale. Invece, quello che a mio avviso spicca è proprio l’aspetto anomico della globalizzazione, che indebolisce nell’individuo il sentirsi parte in modo esclusivo di qualcosa, accomunandolo sempre meno agli altri della sua stessa collettività.
Il naturale bisogno di sicurezza, sommato alla spiccata coscienza dei rischi presenti all’interno della nostra società, mette perciò in crisi le giovani generazioni, determinando una particolare liquidità della loro vita. Come ha scritto Bauman, ad esempio, la vita liquida è una corsa frenetica, una vita precaria e incerta, in cui imparare dalle proprie esperienze è impossibile perché le condizioni entro le quali esse accadono cambiano continuamente.
3.) Infine il consumismo esteso, uno dagli aspetti connaturati alla globalizzazione attuale, e sul quale in effetti poggia l’intera economia mondiale. Sempre Zygmunt Bauman, nelle due opere Vita liquida (2006) e Homo cònsumens (2007), ha sottolineato come, a caratterizzare le società occidentali, sia l’ansia di spesa degli individui, i quali, sono costretti a consumare se vogliono rimanere in una società che si autoalimenta appunto di consumo, per evitare di sentirsi frustrati, esclusi o addirittura emarginati. Se questo è vero, viene a toccare proprio le categorie economicamente più deboli, tra le quali possiamo annoverare i giovani in cerca di occupazione o che si stanno preparando per entrare in un mondo del lavoro più difficile e competitivo.
Quindi, a mio avviso, il disagio giovanile assume una duplice caratterizzazione.
Da un lato disagio, tensione, paura di sbagliare, che possono generare un desiderio di stordimento, di fuga dalle scelte, dalle responsabilità.
Dall’altro, frenesia di vivere senza pause, provando tutto ciò che è possibile nell’arco di tempo di una vita, andando dietro a un mondo umano sempre acceso e connesso, che attraverso i mass media globalizzati presenta infinite e sempre nuove cose da sperimentare e da consumare.
Proprio in tali dinamiche può innestarsi il ricorso a una delle forme più deleterie e diffuse di evasione: le droghe, che hanno la mitologia negativa di assecondare questi bisogni e alimentano gli interessi e le economie della criminalità.
L’utilizzo delle sostanze stupefacenti rientra nella devianza, in quanto degenerazione di un comportamento corretto, che è quello di accettare i limiti del corpo umano e di trovare nella nostra sfera interiore l’equilibrio e le risorse per adattarci alle difficoltà della vita.
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Nel mio racconto Male minore ho invece affrontato il fenomeno del bullismo, un’altra forma di devianza, diffusa e pericolosa
Il bullismo rientra a tutti gli effetti nella devianza. Attualmente è diventato un problema serio che tanti studenti vivono ogni giorno, dentro e fuori la scuola oppure nella virtualità onnipresente del cyberspazio.
Dico subito che il bullismo va condannato, respinto, conosciuto meglio e prevenuto con tutte le forze a disposizione, perché crea non solo situazioni pericolosissime che minacciano l’incolumità delle vittime, ma in prospettiva produce, a seconda delle posizioni, sfrontata abitudine al crimine o gravi traumi psicologici in coloro che saranno i futuri adulti e i futuri cittadini della nostra società.
Attualmente anche per la fascia di età corrispondente agli anni di scuola superiore di I e di II grado si può parlare di una sorta di fragilità. Oltre a problemi di ordine economico-sociale o di natura psico-affettiva, che possono generare un comportamento deviante, ci sono da sottolineare i contesti familiari deprivati e la modellizzazione negativa che avviene quando sui nuovi canali comunicativi vengono ricercati contenuti violenti, o azioni provocatorie ambientate dentro e fuori scuola, tali da indurre negli individui più aggressivi forme di imitazione immediata, che coinvolgono presto anche gli altri elementi del gruppo di pari.
Fra tutti gli aspetti che caratterizzano questa relazione distorta fra ragazzi, – se pensiamo che i genitori sono il fulcro dell’apprendimento infantile o almeno il primo punto di riferimento sociale, – permane dominante l’ambiente familiare e il modello educativo che i genitori trasmettono ai figli. Ma anche la società nel suo sistema valoriale e nelle sue modalità funzionali può essere co-responsabile, promuovendo comportamenti dominanti e prevaricatori che possono in qualche modo rendere più facile, nei ragazzi in crescita, il manifestarsi di una personalità aggressiva.
È vero poi che non tutti gli atti di bullismo avvengono nella scuola, ma la scuola è senza dubbio l’ambiente dove più facilmente si possono osservare, contrastare, ma soprattutto prevenire.
Il racconto Male minore e il progetto scolastico di cui ha fatto parte non rappresentano soltanto un’esperienza letteraria, ma sono stati un’esperienza didattica ed educativa molto speciale, che hanno permesso ai ragazzi coinvolti di acquisire maggiore conoscenza e maggiore consapevolezza del fenomeno.
Ecco, appunto, il tema della consapevolezza, come orizzonte educativo finalizzato alla costruzione delle identità autonome e consapevoli.
Far acquisire conoscenza e consapevolezza nelle nuove generazioni resta una meta imprescindibile per chi si occupa di educazione a vari livelli: genitori, insegnanti, operatori.
Conoscenza e consapevolezza sono forze che da sole non risolvono una condizione di disagio e di incertezza legata come abbiamo visto anche e per lo più a motivazioni economico-produttive, ma sicuramente aiutano l’individuo ad adattarsi alla realtà, a promuovere in se stesso cambiamenti e modificazioni piuttosto che vie di fuga o atteggiamenti anacronistici.
Un mutato scenario storico dove le informazioni sovrabbondano e si accrescono velocemente, e dove procedure e modelli diventano presto obsoleti, richiede lo sviluppo di nuove competenze, che permettono all’individuo di inserirsi nel mondo lavorativo e sociale; richiede lo sviluppo della capacità di imparare, selezionando e organizzando autonomamente le informazioni a seconda degli scopi; della capacità di saper rivedere le proprie impostazioni iniziali, trasferendo in nuovi contesti abilità pregresse o acquisendone di nuove per l’intero corso della propria esistenza.
Infine, se lo sviluppo scientifico e tecnologico, non solo considerato nella fase attuale, ma soprattutto guardato in prospettiva, inducono al ritorno di una mentalità positivistica e a una sorta di scientismo tecnologico, e a ritenere preponderante e quasi esclusivo per i giovani l’apprendimento di tecniche specializzate, spendibili nei vari ambiti lavorativi, resta però indispensabile, nei loro anni di formazione, l’assorbimento della cultura umanistica, in grado di generare un nuovo umanesimo, di far interiorizzare il valore della persona umana, nella sua dignità, nelle sue componenti fisiche e interiori, così da favorire il senso del limite, il rispetto degli altri, l’empatia, la stessa intelligenza emotiva.
La scuola, fra tutte le istituzioni che a diverso titolo devono essere coinvolte per prevenire e combattere la devianza e per aiutare i giovani a risolvere il disagio, rappresenta il luogo privilegiato dove, attraverso il contributo delle scienze dell’educazione, generare una diversa sensibilità e acquisire tutto questo, perché è da sempre il luogo privilegiato per apprendere conoscenze e competenze, per assumere comportamenti civili e democratici, per educare a una convivenza pacifica in cui la dignità di ciascuno e di tutti deve essere salvaguardata e mai calpestata.
© Francesco Ricci. Riproduzione riservata.